Riccardo Petrella, presidente dell'Acquedotto Pugliese, analizza i guasti della decisione, per le aziende di servizio pubblico, di separare le infrastrutture dalla società di gestione. Lo spunto nasce dal 'pentimento' dei conservatori inglesi, che rinnegano quelle scelte oggi perseguite dai governi di centro-sinistra in Italia: da Prodi in giù, per arrivare ai vari Martini e Domenici. Buona lettura
La notizia non è da poco. Due giorni or sono i conservatori britannici hanno riconosciuto di aver commesso un grave errore nel 1996 con la privatizzazione delle ferrovie. Sono pentiti. Lo ha dichiarato il ministro ombra dei trasporti del partito conservatore: «la decisione di separare le infrastrutture dalla società di gestione - ha detto - non è stata giusta». In effetti, come è largamente noto, la privatizzazione delle ferrovie è stato un disastro sociale, tecnico, organizzativo e finanziario, conclusosi con il fallimento della società privata Rail Track e la rinazionalizzazione delle reti. L'operazione, nel frattempo, è costata un paio di miliardi di euro al contribuente britannico. In un momento in cui in Italia il nuovo governo di centrosinistra ha lanciato una nuova ondata di liberalizzazioni/privatizzazioni nel settore dei servizi pubblici (e locali) con l'eccezione, da verificare nei prossimi mesi, dei servizi idrici, la notizia vale il suo peso. Uno dei principi chiave adottati dal nuovo governo per giustificare e legittimare la nuova ondata sta precisamente nella asserita necessità di distinguere tra la proprietà del bene o delle infrastrutture che deve/può restare pubblica e la gestione del bene e/o dei servizi connessi che può/deve essere privata. Nessuno può escludere il rischio che l'Italia si trovi fra alcuni anni di fronte a diversi casi di «disastro da privatizzazione» nel settore dell'energia, dei trasporti, della salute, anche perché le possibilità di disastro stanno già facendo capolino qui e là, per il momento in maniera episodica. Penso a certi servizi nel campo della sanità (per anziani, per esempio), all'alloggio popolare, alle linee di trasporti «secondarie».
Fondamentalismo miope
E' legittimo quindi domandare, ma perché si persiste nell'errore di separare proprietà e gestione di un servizio pubblico , quando questa separazione è dettata unicamente da un fondamentalismo miope derivato dalla teologia capitalista mercantile che fa della concorrenza tra imprese il criterio principe di scelta ottimale tra allocazioni alternative delle risorse, dei beni e dei servizi? Fortunatamente, il nuovo governo ha accettato di fare eccezione per l'acqua, ma si tratta chiaramente di una eccezione. La regola è quella della separazione. La separazione è un errore perché, specie nel caso dei servizi essenziali ed indispensabili alla vita ed al vivere insieme come l'aria, l'energia, la protezione del territorio, la salute, l'educazione, la conoscenza, la sicurezza civile, essa adotta il principio che il punto di partenza per costruire l'edifico dei servizi pubblici di un paese è l'esistenza di bisogni di «interesse generale» (perché comuni a tutti i membri di una comunità), ma a domanda individuale (quale è considerato il «consumo» di gas, di elettricità, di trasporto pubblico, di medicinali, di ricoveri in ospedale, di metri quadrati di casa…).
La pubblica utilità
A partire da questo punto, il ruolo dei poteri pubblici consiste principalmente nell'assumere la funzione detta di utilità pubblica ( nel gergo anglosassone le public utilities) per soddisfare i bisogni. Il servizio «pubblico» (perché offerto a tutti) diventa lo strumento che consente di soddisfare le domande individuali dei bisogni grazie al meccanismo dei prezzi o tariffe sul mercato. Da qui la tesi dominante di considerare la quasi totalità dei servizi pubblici come dei «servizi di rilevanza economica » e quindi sottomessi alle regole dell'economia di mercato concorrenziale. Il recentissimo Disegno di legge n. S 772 sui servizi pubblici locali parla dell'inevitabile necessità del «confronto competitivo» fra le imprese gestori dei servizi come se parlasse di una «legge costituzionale» inviolabile Ora, il corretto punto di partenza per l'architettura dei servizi pubblici essenziali ed insostituibili alla vita ed al vivere insieme sono i diritti, umani e sociali, e non i bisogni. Diritto alla salute, diritto all'acqua, diritto alla conoscenza, diritto alla casa…. Da qui, la funzione pubblica deriva dalla responsabilità/dovere della comunità di creare le condizioni e di mezzi necessari per garantire l'accesso ai beni e servizi relativi ai diritti.
Responsabile collettività
Questo è il senso profondo del «potere pubblico », cioè della legittimità derivata dalla responsabilità pubblica nei confronti dei cittadini. Pertanto, il servizio è pubblico e di rilevanza «sociale» perché di esso è responsabile la collettività a tutti i livelli, dal locale al nazionale ed al mondiale, e su tutti i piani , da quello legislativo a quello finanziario ed economico. Questa concezione spiega perché la proprietà del bene/infrastrutture e la sua/loro gestione sono per natura pubbliche e di titolarità di un unico e simile soggetto e quindi non possono essere separate. Partire dai bisogni a domanda individuale anziché dai diritti universali, collettivi, cambia radicalmente la concezione della società e le strategie e le scelte politiche, sociali e tecno- economiche. Quanti saranno fra cinque anni «i pentiti» toccati dal morbo delle liberalizzazioni/ privatizzazioni? Non sarebbe meglio per tutti cambiare già ora, ed evitare di compiere l'errore?