A quarant'anni dall'alluvione Firenze ha di nuovo bisogno degli 'angeli del fango'. Se nel 1966 supplirono ad uno Stato assente e impreparato, oggi sono necessari per salvare quel patrimonio culturale inestimabile che è la Biblioteca Nazionale Centrale. Da anni ormai lo Stato non finanzia più a sufficienza le sue attività. Durante il precedente governo i finanziamenti ordinari del ministero per i beni e le attività culturali sono progressivamente diminuiti ed oggi le risorse della Biblioteca ammontano a soli due milioni di euro. Altre istituzioni analoghe per prestigio e importanza nella conservazione della memoria, della cultura e dell'identità del Paese, come la Bibliothéque Nationale di Parigi e la British Library di Londra, ricevono rispettivamente 140 e 120 milioni di euro.
I 225 bibliotecari fiorentini (a Parigi sono 2800, a Londra 2000) resistono come possono tra cadute di cornicioni e invasioni di topi. Ogni anno servono due chilometri di scaffalature per i nuovi libri ma i finanziamenti sono ormai bloccati da tre anni. La parola d'ordine è arrangiatevi.
Una situazione che mette in evidenza nuovamente i limiti della politica in una città considerata la culla della cultura italiana. Rutelli, nuovo ministro ai Beni Culturali, sembra più interessato a discutere all'infinito del Partito Democratico o dei posti da spartire presso le istituzioni culturali. Intanto i topi banchettano lungo l'Arno e Antonia Ida Fontana, direttrice della Biblioteca Nazionale, denuncia l'impossibilità di pagare le bollette di fine anno. Ma esistono responsabilità anche locali, più precisamente del sindaco Domenici, incapace di fare pressioni adeguate sul governo. Un sindaco che ha puntato tutta la sua politica culturale sulla neonata Fondazione Cultura, un luogo che azzera la produzione diffusa e la promozione culturale generale e che privilegia soprattutto grandi eventi e iniziative mastodontiche a favore delle categorie economiche della città. Obiettivo dichiarato vendere al meglio il marchio-Firenze, al diavolo la cultura diffusa e la crescita di chi abita e vive la città.Se la politica ha un'idea superata di 'modernità', dove conta di più il grande evento con sponsor multinazionale, non possiamo far altro che contrastare questa concezione 'primitiva' di cultura. Non ci chiuderemo in casa con la Play Station, ma, come nel '66 ci rimboccheremo le maniche per salvare la Biblioteca Nazionale ma anche i teatri e i cinema che chiudono, l'Università che affoga nei debiti, gli spazi dove i giovani autoproducono cultura.