19 gennaio 2008
E la chiamano modernità
"La più importante trasformazione dal periodo in cui Firenze fu capitale d'Italia, dal 1865 al 1870". Così il sindaco di Firenze Domenici ha presentato alla stampa estera a Roma la serie di interventi programmati per la città. Un discreto autogol, visto che in un sol colpo si è autopromosso tra i grandi della Storia e ha rivelato la pochissima considerazione in cui tiene i suoi amministrati a cui non ha mai illustrato un piano che considera di tale portata. Se si guarda poi al merito delle sue strategie urbanistiche, si tratta di una serie di maxiprogetti "per la nuova Firenze", che vanno dal tunnel dell'alta velocità al raddoppio della A1 all’ampliamento del polo fieristico alla Fortezza da Basso e via andando. Il sindaco non ha dubbi "contestare questi progetti equivale a sabotare il futuro di Firenze". Come a dire che l'unica possibile evoluzione della città è quella pensata dalla sua giunta. E i limiti di questo modello di sviluppo e il suo impatto sull’ecosistema? E tutto il dibattito sulla decrescita? E chi sostiene che la trasformazione urbana, nel senso di accrescimento della qualità della vita (unica "crescita" che ci piace), non coincide con le grandi opere? Nella sua cultura politica non c’è traccia della riflessione più avanzata su questi temi. E infatti è in evidente difficoltà quando parla della gestione complessiva del centro storico, con l'espulsione dei residenti, la pessima manutenzione, l’erosione della vivibilità e la conseguente ascesa del razzismo. Un’ultima considerazione: sappiamo come la riqualificazione delle aree urbane si traduca regolarmente nel prevalere dei profitti dei grandi operatori sugli interessi pubblici. E la chiamano modernità?